Il linguaggio della sorte: estrarre o gettare oggetti nelle pratiche divinatorie cleromantiche

 

 

 

Ogni rito ha un senso: esso è costituito

 

dall’associazione di un gesto con una credenza.

 

(Ries, 2008, 261)

 

 

 

Iniziamo questo breve approfondimento su delle particolari pratiche divinatorie con una premessa che sembrerà scontata ma crediamo necessaria per comprendere l’ambito psicologico e culturale dove queste pratiche si sono sviluppate e dove hanno continuato ad esistere, attraversando i millenni.

 

La divinazione, come suggerisce la sua radice latina divinatio ha a che fare con il divino, in queste pratiche si vuole interrogare la volontà del divino o più in generale del soprannaturale, quindi condizione necessaria perché queste pratiche si sviluppino è la credenza in un soprannaturale, associata alla credenza che il mondo soprannaturale agisca e interagisca con il mondo naturale e con la vita delle singole persone. La singola pratica divinatoria è regolata da una serie di precetti e comportamenti che la assimilano ad un rito, inteso come “(…) un atto o un gesto, individuale o collettivo, compiuto in vista di un risultato che va oltre questo mondo empirico” (Ries, 2008, 261) e come ogni rito essa deve necessariamente essere inserita all’interno di particolari credenze, di coordinate mitologiche che la supportino.

 

La modalità di pensiero sotteso è quindi quella del pensiero simbolico (connesso al pensiero magico e religioso) e non quella del pensiero logico-razionale sviluppatasi nell’approccio scientifico. Nella prima modalità di funzionamento del pensiero, la ricerca di una predizione su eventi futuri si basa sulla ricerca di nessi di collegamento simbolici che interpretati ‘svelano’ i piani futuri del soprannaturale o ne indagano volontà e influssi sul presente.

 

La modalità logico-razionale cerca di predire eventi futuri attraverso l’individuazione dei nessi di causalità spiegati scientificamente che possano stimare come probabile una particolare condizione futura a partire da precisi elementi del presente (esempio predire un uragano in base ai dati atmosferici o un’eclissi in base al movimento degli astri o una probabile futura malattia in base alle abitudini di vita o alle condizioni mediche di una persona nel presente).

 

Per comprendere appieno quindi l’ambito delle pratiche divinatorie dobbiamo considerare la caratteristica che distingue homo sapiens dalle altre specie: il pensiero simbolico.

 

Bisogna ricordare che l’essere umano è principalmente animal symbolicum[1] come definito dal filosofo tedesco Ernst Cassirer,  “un animale impigliato nella rete di significati che esso stesso ha intessuto” citando una felice definizione del sociologo tedesco Max Weber.

 

Per comprendere quindi il come e il perché di pratiche divinatorie sviluppate dall’essere umano sin da tempi arcaici, è importante cercare di comprendere la ‘rete di significati’ che sono sottesi a tali pratiche, l’habitus culturale che le sottende e le sostiene, nel momento storico in cui vengono praticate.

 

La pratiche divinatorie e quelle magiche sono infatti sempre inserite in una specifica cultura (o sottocultura) che ha sviluppato una specifica mitologia che le spiega e le giustifica. Ed è all’interno di questo particolare ambito che dobbiamo collocarne la comprensione, in particolar modo se relativa agli atti rituali che vi sono connessi, volti a mettere in connessione il mondo empirico con la dimensione del soprannaturale[2].

 

 

 

L’essere umano nell’antichità (e nella culture tradizionali) vive in rapporto con un mondo che è governato dal soprannaturale, dove gli eventi nella vita del singolo sono condizionati dalla volontà di divinità, spiriti, demoni, stregoni e così via. L’acquisizione di una concezione dell’esistenza umana come prodotto della volontà del singolo e il credo in una natura umana che governa le forze naturali arriverà storicamente molto più avanti; i semi saranno gettati, nel mondo occidentale, dalla filosofia greca e sviluppati appieno dopo secoli con la filosofia illuminista e lo sviluppo del pensiero scientifico.

 

Le pratiche divinatorie e quelle magiche, in collegamento diretto dove una sfuma sull’altra e dove l’operatore a volte può essere lo stesso, hanno permesso all’essere umano di creare prevedibilità e un senso di controllo in un mondo altrimenti vissuto come imprevedibile, caotico, ansiosamente intellegibile.

 

Queste pratiche danno prevedibilità, forniscono un senso di controllo, forniscono ordine al mondo e, come scrive Claude Lévi-Struass, antropologo francese padre dell’antropologia strutturalista: “Un criterio ordinativo, qualunque esso sia, ha sempre un valore rispetto all’assenza di ogni ordinamento” (Lévi-Strauss, 2010, 22). Per questo autore il ‘pensiero selvaggio’ che caratterizza le società tradizionali, titolo di una sua opera del 1962, è una modalità di pensiero che non costituisce un pensiero pre-scientifico ma una differente modalità ordinativa del pensiero, presente ancora oggi in tutti noi, che non utilizza nessi di causalità dimostrati empiricamente ma nessi di causalità spiegati dal pensiero magico-simbolico. Questa modalità di pensiero dà quindi ordine al mondo, crea una rete di significati che non poggiano necessariamente su fatti empirici[3] ma su nessi simbolici. Su questi presupposti nascono le grandi mitologie, racconti che spiegano l’origine delle cose, la loro natura, la loro collocazione nel mondo, le loro relazioni; racconti che sviluppano, supportano e giustificano una complessa rete di ritualità, potendo comprendere anche quelle legate a pratiche divinatorie.

 

Una catalogazione di queste pratiche è quella proposta da Marco Tullio Cicerone (106 a.C.  43 a.C.)  nel suo “De divinatione” dove, riprendendo il pensiero stoico, separa una ‘divinazione naturale’ dove il divino parla attraverso ‘medium’ ispirati o attraverso segni non provocati dall’uomo (es. volo degli uccelli o eventi naturali straordinari), da una ‘divinazione artificale’ i cui segni sono provocati dall’uomo per avere delle risposte dal soprannaturale, interpretate da specialisti.  Auguste Bouché-Leclerq (1842 – 1923), storico francese che ha pubblicato nel 1879 Histoire De La Divination Dans L'Antiquité, riprende la classificazione ciceroniana dividendo una divinazione ‘spontanea o intuitiva’ da una ‘artificiale o induttiva’.

 

Rientra in quest’ultima categoria la cleromanzia, (dal greco “kleros” = sorte e “manteia” = indovinare) che indica l’insieme delle pratiche divinatorie dove la volontà del soprannaturale viene interpretata attraverso pratiche che portano a risultati casuali, non controllati dall’uomo, che vengono interpretati quindi come indicatori del volere del soprannaturale. Esempi possono essere l’estrazione a sorte di oggetti simbolici o di materiali inscritti o di una freccia dalla faretra di cui si leggevano le caratteristiche, l’apertura a caso di libri sacri con la lettura di specifiche frasi (sortes biblicae, sortes homericae, sortes vergilianae…), oppure appunto il lancio di oggetti vari come sassi, fave, bastoncini, dadi, ossa (astragali), conchiglie, rune e cosi via o il lancio in alto di una freccia per poi leggerne i ‘segni’ relativi al movimento di caduta a al punto di arrivo. In latino le stesse pratiche venivano denominate “sortilegio” (dal latino “sortem” = sorte e “lego” = leggere). Ricordiamo che, come visto sopra, nel pensiero antico la sorte non era affidata al caso ma era sempre controllata da volontà divine (così come il concetto di fortuna, distribuita dalla dea Fortuna, dea del caso e del destino, venerata dai romani o la dea Tyche, l’opportunità venerata dai greci). Conoscere quindi la volontà del divino o di altri essere soprannaturali equivaleva a predire la sorte, il futuro in relazione a specifiche domande che venivano poste al cleromante o sortilego.

 

Il lancio di oggetti vari, al fine di interpretarne poi la disposizione di caduta, rientra in questo tipo di pratiche che ha, sin da tempi antichissimi, spinto l’essere umano a forzare lo sguardo oltre la linea del presente, per tentare di conoscere cosa riserva il futuro, già scritto secondo le volontà del divino.

 

In queste pratiche definite ‘artificiali o induttive’, proprio perché il soprannaturale non parla spontaneamente ma viene interrogato, deve esserci alla base anche il quesito, la domanda su cui si vuole ottenere la risposta che ne interpreti la volontà: dal momento in cui l’oggetto viene lanciato, dopo aver posto uno specifico quesito, è il soprannaturale a rispondere condizionandone i movimenti di caduta e la disposizione finale.    

 

Un esempio storico che appartiene a questo gruppo di pratiche divinatorie è l’astralagomanzia, basata sulla lettura di astragali, piccole ossa cuboidi generalmente ricavate dal tarso di ovini (pecore, capre o montoni), che venivano gettate su di un piano e quindi interpretate.

 

L’uso di astragoli, usati come dadi in un gioco d’azzardo ha origine molto antica; lo si ritrova citato da Omero e il gioco resta diffuso sia in epoca greca che in quella romana. Parallelamente si sviluppa il loro utilizzo per scopi divinatori, come testimoniato ad esempio da Svetonio in ambito romano, nel I° secolo d.C. Gli imperatori romani Tiberio e Claudio furono grandi esperti in questa pratica (Claudio scrisse un trattato sull’astralagomanzia). Un esempio del loro utilizzo ci viene dal tempio di Eracle a Bura in Acaia, nel Peloponneso settentrionale. Qui il postulante, dopo aver pregato il dio e averne posto il quesito, gettava quattro astragali su di una tavoletta presente nel santuario, per poi leggerne il responso, scritto sulla tavola stessa, in base alla combinazione degli astragali gettati.

 

 

 

Le pratiche divinatorie sono molto diffuse nel mondo antico e la loro presenza è testimoniata, non solo in occidente[4], sin dagli albori della cultura scritta. La nascita della scrittura viene generalmente associata al cuneiforme sumero e fatta risalire a circa 5.000 anni fa[5]. Le tavolette cuneiformi che risalgono a questa epoca dimostrano l’esistenza di un sistema di pratiche divinatorie già maturo e quindi probabilmente originatosi in epoche precedenti. Come scrive l’assirologo italiano Pietro Mander, “dal II millenio a.C. comincia rigogliosa una tradizione scritta di manuali divinatori; dallo sviluppo del linguaggio tecnico, dalla ricchezza della documentazione e da altri particolari si evince che essi derivano da una più antica tradizione che ci è sconosciuta. Sappiamo, da prove sia dirette che indirette, che nel III millennio veniva ampiamente praticata la divinazione: anzi si deve ritenere che l’omen, il “segno” divino che consente l’interpretazione di eventi altrimenti ignoti, sia stato addirittura l’esempio per la creazione del “segno” scritto.” (Mander, 2009, 129)  

 

Tra le numerose pratiche divinatorie sviluppatesi nel mondo mesopotamico, ricordiamo qui quelle che rientrano in un ambito cleromantico: la lettura delle forme assunte dall’olio gettato nell’acqua (lecanomanzia) o dalla farina gettata nell’acqua (aleuromanzia).

 

Forme di divinazione sono diffuse in tutto il mondo antico e sono state confermate anche da ritrovamenti archeologici relativi a culture dove non era ancora diffusa la scrittura. Un esempio ci è fornito dai tre santuari scavati a Gegharot[6] in Armenia e datati al 1300 a.C., che sono stati identificati come centri per pratiche divinatorie al servizio dei sovrani locali. Gli archeologi che hanno lavorato su questo sito vi hanno individuato ben tre forme diverse di divinazione: l’osteomanzia tramite rituali eseguiti con le ossa del garretto di mucche, capre o pecore, la litomanzia con l’uso di ciottoli di diverse forme e colori e l’aleuromanzia mediante l’uso di farine macinate all’interno dei santuari stessi.  

 

La diffusione e la complessità e quindi il grado di maturazione delle pratiche divinatorie nel mondo occidentale in epoche storiche antiche, suggerisce che le loro origini siano da ricercarsi in epoche precedenti, sicuramente nel neolitico e forse già dal paleolitico anche se ritrovamenti archeologici che ne confermino la sicura presenza in queste epoche sono sconosciuti allo scrivente.

 

Una conferma indiretta la possiamo ricercare in queste epoche considerando che le pratiche oracolari sono fortemente connesse a pratiche sciamaniche la cui presenza nel paleolitico è fortemente supportata da solide ipotesi[7].

 

La divinazione non appartiene però solamente al passato: il bisogno di anticipare gli eventi futuri e di consultare la volontà del soprannaturale ha portato le pratiche divinatorie ad attraversare i millenni, adattandosi ai cambiamenti culturali, ma restando vive fino ad epoche moderne, anche all’interno di pratiche vernacolari, come testimoniato dai racconti etnografici.

 

 

 

 

 

 

 

Bibliografia

 

o      Cassirer Ernst, Saggio sull’uomo, Armando Ed., Roma, 2009

 

o      Lévi-Strauss Claude, Il pensiero selvaggio, Il Saggiatore, Milano, 2010

 

o      Mander Pietro, La religione dell’antica Mesopotamia, Carocci, Roma, 2009

 

o      Ribichini Sergio, Magia e divinazione nel mondo antico, Archeo Monografie n°23 Febbraio 2018

 

o      Ries Julien, Mito e rito. Le costanti del sacro, Jaca Book, Milano, 2008

 



[1] “(...) L’uomo non può più sottrarsi alle condizioni di esistenza che lui stesso si è creato; egli deve conformarsi ad esse. Non vive più in un universo soltanto fisico ma in un universo simbolico. Il linguaggio, il mito, l’arte e la religione fanno parte di questo universo, sono i fili che costituiscono il tessuto simbolico, l’aggrovigliata trama della umana esperienza. (...) Queste forme sono essenzialmente forme simboliche. Invece di definire l’uomo come un animal rationale si dovrebbe dunque definirlo come un animal symbolicum. In tal guisa si indicherà ciò che veramente lo caratterizza e che lo differenzia rispetto a tutte le altre specie e si potrà capire la speciale via che l’uomo ha preso: la via verso la civiltà.” (E. Cassirer, Saggio sull’uomo, Armando Ed., Roma, 2009. 80-81)

[2] lo Storico delle Religioni belga Julian Ries definisce il rito “un atto simbolico tramite il quale l’uomo, nei limiti di una realtà appartenente a questo mondo, stabilisce un contatto con una realtà che trascende questo mondo” (Ries, 2008, 261)

 

[3] Dobbiamo altresì riconoscere che l’uomo delle culture antiche e di quelle tradizionali è un eccezionale empirista che conosce perfettamente l’utilizzo di piante, minerali e animali per scopo alimentare e medicinale.

[4] Ricordiamo ad esempio i cosiddetti ‘ossi oracolari’, ossa o gusci di tartaruga incisi usati a scopo divinatorio durante la Dinastia Shang (1700 – 1050 a.C.) anche se testimonianze più antiche di piromanzia e scapulomanzia nella Cina antica sono state rintracciate già dal IV millenio a.C. fonte: https://it.wikipedia.org/wiki/Ossi_oracolari consultato 06/03/2018

[5] Anche se forme di protoscrittura si riscontrano già nel neolitico europeo e alcuni studi le rintracciano già nei segni dell’arte paleolitica. Vedi ad esempio Anati Emanuel, Origini della scrittura, Atelier, Pistoia, 2015 o Gimbutas Marija, Il linguaggio della dea, Venexia, Roma, 2008.

[7] Vedi ad esempio: Price Neil (edited by), The archaeology of shamanism, Routledge, New York, 2001 oppure Clottes Jean, Lewis-Williams David, Les chamanes de la préhistoire. Texte intégral, polémiques et réponses  La maison des roches, Paris, 2001