CUMBA L’ORFANA

 

Favola Wolof[1], raccolta dal senegalese Mbacke Gagji[2]

 

In un lontano paese del Djeri - o terre aride -, in Senegal, viveva una bimba di nome Cumba. La sua nascita coincise con un periodo particolarmente difficile per il villaggio che, colpito da siccità, divenne focolaio di malattie violente che falciarono bambini, uomini e bestie. Anche la mamma di Cumba fu vittima di questa strage; morì dopo solo pochi mesi lasciandola alle cure di una matrigna particolarmente cattiva.

Questa è la segregata e la maltrattava per i suoi numerosi difetti causati soprattutto dalla sua malattia. Cumba era nata con foruncoli su tutto il corpo e una gobba sulla schiena. Aveva un aspetto non bello da vedere, ma era così gentile e disponibile che divenne l'amica di tutti gli abitanti della savana. Suo padre, complice della seconda moglie, le costruì una casa fuori dal villaggio, tra recinti e granai lontano dalle abitazioni degli uomini. Come vicini aveva il gregge e gli abitanti della savana: uccelli, scimmie, iene, lepri, conigli, topi. Il lavoro era la sua principale occupazione; lavorava nei campi, curava il gregge, trasportava la legna per sé e per tutta la famiglia. Cumba aveva fratelli e sorelle che riusciva a vedere solo sporadicamente, come pure il resto del villaggio. Un giorno Cumba incontrò un gruppo di allegre ragazzine che si dirigevano allo stagno per rinfrescarsi dopo una piacevole giornata di giochi. Cumba, stanca di stare da sola e incuriosita da queste ragazze, le seguì discretamente fino allo stagno.

La banda naturalmente si tuffò subito nell'acqua, piacere questo che le era stato proibito dalla sua famiglia e dal villaggio. Per nessuna ragione doveva avvicinarsi a quelle acque secondo quanto le aveva detto suo padre.

Con sua grande sorpresa Cumba scoprì di essere fatta diversamente dalle altre ragazze. Mille domande le tormentavano la testa, quando la sua fedele e saggia amica gallina, le spiegò la sua sfortuna:

“Sei così perché lo ha voluto lo spirito guardiano delle bellezze del mondo”. Da quel momento non ci fu più pace per Cumba, pianse a lungo e anche tutti i suoi amici a quattro zampe ed i pennuti parteciparono al suo dolore.

“Perché mai…?”, si chiedeva la poveretta. “Perché lo spirito della bellezza mi ha concepito così ? …di che cosa sono colpevole per non essere come gli altri ?”.

Tante domande le sue, alle quali nessuno poteva dare risposta. Gli stessi animali vorrebbero sapere perché sono diversi dagli uomini, perché dormono fuori, perché sono cacciati e perseguitati dagli uomini senza ragione apparente. Ci pensarono allora alla scimmia e la iena a dare delle risposte agli interrogativi della malcapitata. I due avevano sempre guardato con Cumba con un po' di invidia e la consideravano esclusivamente in quanto custode di un gregge e di campi che per tradizione erano cibo sin dai loro antenati e, per eredità, loro.

Cumba, desiderosa di disfarsi della sua tara fece un patto con i nostri due furbi. In cambio dell'indulgenza della ragazza nei loro confronti, poiché Cumba avrebbe chiuso un occhio sui loro furti dei campi e del bestiame, loro l'avrebbero aiutata a fare un tuffo miracoloso nello stagno.

Era solo un bluff ? No. La scimmia furbacchiona la sapeva lunga di scienze occulte e di talismani. Era comunque consapevole che la faccenda avrebbe causato grossi guai a Cumba. Questo era infatti un modo di metterla fuori gioco per sempre e per salvare il suo genere dalla presenza ingombrante di Cumba, alla quale lo stagno era formalmente proibito.

L'ora prescritta per tuffarsi nello stagno non lasciò scampo alla ragazza, che fu vista da tutti. La sua innocenza le fece credere che una volta uscita dalle acque sarebbe stata uguale a tutti, senza più la gobba e i foruncoli sul corpo, e perciò le sarebbe stato perdonato l'affronto di aver disobbedito agli ordini del padre. Uscì dall'acqua, ma nessuno si accorse del cambiamento, perché in virtù della loro legge, Cumba la lebbrosa, la brutta, aveva infranto le regole della comunità, ed inoltre aveva reso imbevibile e sporcato l'acqua della pozza. Cumba non ebbe neanche il tempo di assaporare il suo cambiamento, che il pesante giudizio del villaggio le cadde addosso. In una riunione dei saggi allargata agli animali della savana, la scimmia confermò che la ragazza aveva inquinato e avvelenato le acque dello stagno e fu proposta l'unica soluzione per ridare a questo bene la sua normalità.

Le acque dovevano essere purificate versando una ciotola di acqua di un altro fiume leggendario: il Sanku[3]. La leggenda racconta che tutti tentativi fatti per raggiungere il fiume non sono mai stati seguiti da un ritorno grandi cacciatori guerrieri hanno sfidato la strada e nessuno li ha più visti tornare; per gli avventurieri, i suicidi, i frustrati, in cerca di ricchezza diretti verso il fiume si conosce ancora solo la data della partenza. L’arrivo è da sempre rimasto un mistero, il ritorno mai avvenuto. Gli spiriti della foresta, testimoni di quanto accade in questa circostanza tacciono, ed il mistero rimane per generazioni e generazioni.

La povera Cumba doveva affrontare la strada per arrivare al fiume che solo i morti avevano visto fino ad allora. Quando Cumba si informò, si accorse di essere davanti ad un problema molto fastidioso, non per il pericolo che l'aspettava, perché piccola e innocente come era, non ne aveva la minima nozione, ma per il tempo che ci avrebbe impiegato. La piccola non voleva perdersi in realtà la festa tradizionale che il suo popolo dava in onore del loro potente re, che impersonificava gli Dei della acque celesti e quindi della ricchezza e della sopravvivenza. In quella festa Cumba voleva essere ammirata dei maschi della contea come tutte le sue coetanee. Durante la cerimonia, le famiglie cercavano di progettare matrimoni tra ragazzi e ragazze e il potente re benediceva le unioni.

“Il viaggio, se tutto va bene, potrà durare lune e lune, e la festa è solo tra una settimana”, pensava Cumba. Partì comunque il giorno stabilito, all'alba, sotto la scorta dei suoi più fedeli amici che disperavano di non rivederla più. La accompagnarono per un lungo tratto prima di congedarsi da lei raggiunto il bosco, come gli consentiva la loro natura. Al tramonto Cumba arrivò in un villaggio di solo due case in una delle quali viveva una coppia di anziani piuttosto acciaccati. La coppia la ospitò volentieri e Cumba, da educata ragazzina quale era, si impegnò durante la notte a pulire le stanze e lavargli gli abiti, dopo aver cucinato naturalmente un delizioso pasto con degli ingredienti mai visti prima. Era roba di chissà quale genere e di quale epoca -…degli spiriti-. Cumba non fece alcuna domanda per la stranezza degli indumenti che portavano i due vecchietti e per il cibo consumato; quando arrivò un gruppo di strani esseri a banchettare con loro, fece subito amicizia anche con questi.

La mattina successiva Cumba ebbe appena il tempo per sgranchirsi le ossa che, gli occhi semi aperti e intenzionata a salutare i due anziani, non vide più nessuno, ed anche la casa era sparita. Vide però un enorme stagno mille volte più grande di quello del suo villaggio e un paesaggio di un verde lussureggiante. Vide dei campi di un grano mai visto prima e dentro ai quali degli uomini e delle donne lavoravano con le gambe immerse nell'acqua fino alle ginocchia. Nessuno notò la sua presenza o semplicemente nessuno si occupò di lei. Davanti alle acque salutò timidamente il fiume e chiese:

“Questo è Sanku, il fiume prezioso e leggendario ?”.

“Si”, rispose lo spirito custode delle grandi acque.

“Sono qui per prendervi una ciotola del Vostro prezioso liquido”.

“Perché mi vuoi prelevare nell'acqua, ragazzina ?”.

“Per purificare lo stagno del mio villaggio che ho inquinato egoisticamente”.

“Nessuno ha mai portato queste acque da nessuna parte. Che cosa mi racconti ?”.

Cumba spiegò tutta la sua storia e difese il suo popolo che voleva quelle acque benedette.

“Le acque del tuo villaggio non sono inquinate ragazza, parola del più grosso fiume di tutti tempi. Il tuo popolo, per colpa della tua famiglia e della diabolica scimmia, vuole sacrificarti: da oggi però si salva e benvenuta nel paradiso terrestre”.

Il fiume si difese davanti alle accuse della ragazza di avere la fama di assassino e, a questo scopo, le indicò tutta la gente impegnata nei campi come testimonianza di quanto stava affermando.

“Sono rimasti tutti di propria volontà, sedotti dalla bellezza e della ricchezza del posto e spero che tu faccia altrettanto”.

“No, non posso mi aspettano a casa, devo tornare al più presto possibile”.

“Torna in pace...”, le disse allora lo spirito delle acque, dopo averla autorizzata a riempire la sua ciotola, “... e che gli dei siano con te”.

Prima di partire le offrì tre uova da utilizzare nel viaggio di ritorno. Cumba ringraziò il suo interlocutore invisibile e si avviò verso casa. Quando non vide più il fiume buttò il primo uovo in terra, come le aveva raccomandato di fare lo spirito. E come in un sogno, si lasciò portare dal vento fra alberi, uccelli e animali che la salutavano e la circondavano allegramente. Dopo poco Cumba riconobbe i campi a poca distanza dal suo villaggio: era stranamente arrivata in brevissimo tempo vicino a casa! Senza meravigliarsi per l'inspiegabile durata del suo viaggio di ritorno e per quanto le era successo, ruppe in terra un secondo uovo.

Si trovò allora seduta su un trono sostenuto da persone che le sorridevano. Quando girò la testa per accertarsi del rumore infernale che proveniva da dietro di sé, vide un gruppo consistente di uomini, donne, bambini tutti a cavallo, e preceduti da bestiame; il tutto scortato da guerrieri splendidamente vestiti con uniformi sfarzose. Da un altro lato invece vi erano i cosiddetti animali selvatici, dall'elefante alla iena, dal leone alla pantera, dal rinoceronte alla giraffa, tutti in una gioiosa e pacifica compagnia. Era la prima volta che tutti gli esseri del nostro pianeta presenziavano allo stesso evento in perfetta armonia.

All'interno del villaggio nel cuore della festa Cumba decise di schiacciare il terzo uovo. A questo punto uscirono dal nulla dei mostri terrificanti e così spaventosi che fecero fuggire tutti, compreso il re e le sue guardie. I soldati di Cumba e gli animali che l'accompagnavano annientarono i mostri in una dimostrazione di forza senza precedenti e inequivocabilmente si stabilì che Cumba era nuova regina. La folla s'inginocchiò davanti a lei, la sua famiglia fece lo stesso e altrettanto fece quella del re, chiedendole perdono e protezione.

Dopo aver consegnato l'acqua ai responsabili del villaggio, Cumba fece il giro della festa e si scelse il suo uomo. Era l'ultimo giorno. La folla si impegnò da quell'istante a costruire un palazzo reale dentro il quale gli animali selvatici avrebbero avuto un posto privilegiato. La folla si congedò alla sera tardi e si sciolse lungo i sentieri che portano nei vari villaggi del regno.

I presenti portarono con sé la fantastica storia di Cumba l'orfana, da raccontare alle generazioni future, che a loro volta la racconteranno ai loro figli e i figli dei loro figli, così per tutto il tempo passato e il tempo a venire sarà tramandata dalle generazioni di “Djeri” e di “Walo”[4], dove aveva avuto luogo la leggenda dell'orfana Cumba.

 

 

ANALISI DELLA FAVOLA

 

La favola in genere nasce soprattutto con un intento pedagogico. Attraverso la fiaba, vengono comunicati al bambino, i precetti morali e le regole etiche della sua cultura. Nella fiaba il bambino si può identificare con il protagonista, con le sue difficoltà, con le sue capacità di risolvere i problemi, tenendo conto delle regole della cultura in cui si muove e ricevendo dei precetti educativi, imparando a muoversi nella società, come il protagonista della fiaba. Ma la favola contiene anche una dimensione psicologica. Attraverso la fiaba il bambino può essere aiutato a superare le crisi della crescita, le paure del mondo caotico e sconosciuto, i traumi del progressivo distacco dai genitori. Bruno BETTELHEIM (1903 – 1990) ha analizzato i significati psicoanalitici delle fiabe in una sua opera: Il mondo incantato[5]. Scrive l’autore nel testo citato:

 

Per poter risolvere i problemi psicologici del processo di crescita – superando delusioni narcisistiche, dilemmi edipidici, rivalità fraterne, riuscendo ad abbandonare dipendenze infantili, conseguendo il senso della propria individualità e del proprio valore, e quello di dovere morale – un bambino deve comprendere quanto avviene nella sua individualità cosciente in modo da poter affrontare quanto accade nel suo inconscio. Egli può giungere a questa conoscenza, e con essa alla capacità di affrontare se stesso, non attraverso una comprensione razionale della natura e del contenuto del suo inconscio, ma familiarizzandosi con esso, intessendo sogni ad occhi aperti: meditando, rielaborando e fantasticando intorno ad adeguati elementi narrativi in risposta a pressioni inconsce. Così facendo il bambino adegua un contenuto inconscio a fantasie consce, che poi gli permettono di prendere in considerazione tale contenuto. E’ qui che le fiabe hanno un valore senza pari: offrono nuove dimensioni all’immaginazione del bambino, dimensioni che egli sarebbe nell’impossibilità di scoprire se fosse lasciato completamente a se stesso”[6]

 

Il bambino vive in un mondo caotico e in alcuni aspetti terrifico. Il percorso della fiaba dovrebbe aiutarlo a cogliere un percorso di ordinamento del caos, la risoluzione delle situazioni angoscianti attraverso le capacità del protagonista. Per questo le fiabe iniziano spesso delineando una situazione tragica. In questo modo il bambino può immedesimarsi immediatamente con le angosce del protagonista.

La favola di Cumba, inizia subito con una chiara collocazione geografica:

 

“In un lontano paese del Djeri - o terre aride -, in Senegal, viveva una bimba di nome Cumba”

 

In questo modo la storia è collocata nel reale, il luogo della favola e un luogo geografico e il bambino africano che la ascolta può più facilmente trasporre la favola nella sua realtà. La piccola Cumba rimane orfana di madre a pochi mesi, e nasce un momento terribile si carestia, siccità e malattie. Per questo viene cresciuta da una matrigna particolarmente cattiva che la maltrattava e non le voleva bene perché aveva un aspetto fisico brutto e sgraziato, a causa della malattia.

Le angosce esistenziali del bambino ci sono quasi tutte e vengono evocate immediatamente all’inizio della fiaba. Il bambino può così rivivere le sue angosce di perdere i genitori, di non essere amato, di essere brutto e sgraziato. La bambina, attraverso la figura della matrigna cattiva può rivivere le sue fantasie edipiche: la mamma-matrigna che le ruba l’affetto del padre, allontanandolo da lei. Il padre diviene quindi succube della mamma-matrigna e complice nel negare l’affetto alla piccola Cumba:

 

“Suo padre, complice della seconda moglie, le costruì una casa fuori dal villaggio, tra recinti e granai lontano dalle abitazioni degli uomini”

 

La piccola Cumba, nonostante l’aspetto fisico, è però di animo buono e gentile ed è amica degli animali della savana. Il bambino entra subito in empatia con la protagonista e ne può quindi seguire in prima persona gli eventi. Da notare i vari piani su cui si svolge la narrazione:

-        quello pedagogico: Cumba, nonostante le difficoltà si mantiene gentile e disponibile. Non si sottrae al lavoro nei campi, alla cura del gregge e ai lavori domestici per se e per tutta la famiglia. Questo è quello che la società Wolof si aspetta dalla donna del suo clan.

-        quello psicologico: Cumba, mantiene una dimensione “naturale” della psiche. E’ in contatto con la natura e ne rispetta gli abitanti. Per questa sua apertura è ricambiata con l’amicizia degli animali selvatici. La dimensione psicologica è ancora indifferenziata. Gli istinti sono vissuti in modo spontaneo e naturale. C’è una ingenuità di fondo che la porta a fidarsi ed affidarsi alla natura e ai suoi componenti. Questo sua dimensione naturale, indifferenziata, la porta ad essere lontana dal mondo civilizzato degli uomini, Cumba è una figlia della natura: “Cumba aveva fratelli e sorelle che riusciva a vedere solo sporadicamente, come pure il resto del villaggio

-        quello culturale: lo stile di vita, l’ambientazione, le attività sono quelle di un tipico villaggio dell’Africa occidentale. Gli animali elencati sono quelli che si possono vedere nei pressi dei campi coltivati, oltre ai greggi di animali domestici: “uccelli, scimmie, iene, lepri, conigli, topi”. L’identificazione del bambino con la propria cultura di appartenenza è forte e immediata.

 

A questo punto ha inizio la storia. Cumba, guardando delle altre ragazzine che si tuffano allo stagno prende coscienza della propria diversità. La dolorosa presa di coscienza avviene disobbedendo ad un divieto del padre e del villaggio:

 

“La banda naturalmente si tuffò subito nell'acqua, piacere questo che le era stato proibito dalla sua famiglia e dal villaggio. Per nessuna ragione doveva avvicinarsi a quelle acque secondo quanto le aveva detto suo padre”

 

La dimensione naturale, ingenua ma serena viene squarciata contravvenendo ad un divieto che la porta a giudicarsi attraverso il confronto con “l’altro”. Nel racconto biblico, Adamo ed Eva nel Paradiso terrestre, mangiano il frutto della conoscenza a loro proibito, e così perdono la loro purezza, prendendo coscienza della loro nudità. Anche Cumba contravviene ad un divieto, ad un “tabù” dato dal padre che non le consentiva di avvicinarsi all’acqua dello stagno. Potremmo leggere questo in chiave psicologica come una proibizione paterna verso la figlia di immergersi nel femminile (= l’acqua dello stagno) per contattare la propria femminilità. Un padre che costringe quindi la figlia ad una eterna dimensione asessuata di bambina, incapace di accompagnarla nel percorso di sviluppo verso la maturità.

Il contatto con la propria femminilità negata è però angosciante: la giovane adolescente deve fare i conti con un corpo che cambia rapidamente, con le sue difficoltà ad identificarsi con esso, con le paure e le angosce che nascono dai confronti con le coetanee. Cumba non si accetta come è, si dispera perché si vede brutta nei confronti delle sue coetanee ed è la sua amica gallina che le spiega che lei è così perché gli spiriti lo hanno voluto, senza che ci sia una spiegazione. L’invito è quello di accettare le cose per quello che sono, come fanno gli animali, che vivono semplicemente accettando la loro condizione, senza interrogarsi sul perché delle cose.

La gallina nella tradizione africana riveste spesso la funzione di intermediario con il mondo degli spiriti:

 

“La gallina svolge la funzione di psicopompo nelle cerimonie iniziatiche dei Bantu del bacino del Congo. Così, nei riti iniziatici delle donne sciamano presso i Lulua, riferiti dal Fourche, l’impetrante, dopo essere uscita dalla fossa in cui compie la prova di morte e di rinascita, è considerata pienamente investita di poteri sciamanici quando uno dei fratelli le appende una gallina al collo: ‘attraverso questo richiamo ella eserciterà ormai il potere di catturare nella boscaglia le anime dei medium defunti, per condurle e fissarle vicino agli alberi ad esse consacrati’. (…) Il sacrificio della gallina per comunicare con i defunti, tradizione diffusa in tutta l'Africa, si collega allo stesso simbolismo”[7]

 

E’ quindi naturale che, nella tradizione dell’Africa occidentale, sia la gallina, che è in contatto con il mondo degli spiriti, a svelare a Cumba le azioni degli spiriti.

A questo punto entrano in scena altri due attori: la scimmia e la iena che si offrono di aiutarla a modificare il suo aspetto, con una immersione nello stagno (cosa che le era proibita) in cambio di un accordo secondo il quale Cumba gli avrebbe permesso di rubare nei propri campi e dai propri greggi. La protagonista cerca qui di superare il problema con una soluzione che contravviene a tutte le regole: il bagno nello stagno proibito, il permesso di rubare nei campi e razziare il bestiame, senza che ci sia da parte sua un reale sacrificio per ottenere il premio finale. E’ una soluzione che non può portare nulla di buono. Cumba in effetti si allea con la parte più irrazionale dei suoi istinti. Non sono istinti suoi alleati, e non vogliono il suo bene. La iena e la scimmia, sono invidiosi di lei e del suo potere sulla parte “addomesticata” della natura: i campi e il bestiame. Mirano ad impossessarsene per questo le consigliano di infrangere le regole. Sono un po’ come le figure del gatto e la volpe nella favola di Pinocchio di Carlo Collodi. Quelle situazioni che incrociamo nella vita, in cui ci fidiamo quando non dovremmo fidarci, e questo porta a pagare delle conseguenze negative.

Per quanto riguarda la iena, il Dizionario dei simboli di Chevalier, la descrive come:

 

“Animale che si nutre di carogne, la iena presenta in Africa un significato simbolico ambivalente. È caratterizzata in primo luogo dalla sua voracità, dall'odorato, da cui derivano le facoltà di divinazione che le si attribuiscono, che dalla potenza delle mascelle, capace di frantumare gli ossi più duri. Per questo essa costituisce un'allegoria della conoscenza, del sapere e della scienza, ma, ad onta di queste straordinarie facoltà, essa resta un animale puramente terreno e mortale, e qui saggezze conoscenza solo materiali diventano pesantezza, grossolanità, ingenuità che si spinge fino al ridicolo, alla stupidità e alla viltà di fronte alla saggezza e alla conoscenza trascendente di Dio.”[8]

 

Mentre per quanto riguarda la scimmia, lo stesso testo dice:

 

(…) Forse la sintesi di queste tradizioni, a un tempo contraddittorie e omogenee, si potrebbe trovare nell'interpretazione che considera alla scimmia come simbolo delle attività dell'inconscio. Inconscio si manifesta infatti, senza che possa essere diretto o regolato, sia sotto forma pericolosa, scatenando forze istintive incontrollate e degradanti, sia sotto forma favorevole e in attesa, gettando uno sprazzo di luce o dando un'ispirazione felice per reagire. Essa ha il doppio aspetto dell'inconscio, malefico come la strega, benefico come la fata, ma entrambi egualmente irrazionali.[9]

 

Quindi la iena, rappresentante degli istinti grossolani, ingenuamente grezzi, tesi unicamente al materiale, e la scimmia, in questo caso l’inconscio malefico che come la strega cattiva di certe altre favole: “la sapeva lunga di scienze occulte e di talismani”. Cumba ottiene quello che vuole. L’immersione nello stagno la trasforma nell’aspetto fisico e la fa divenire una bella ragazza, ma questa bellezza non le viene riconosciuta dal villaggio, è stata ottenuta a scapito dell’onestà e contravvenendo ad un tabù. I risultati raggiunti attraverso le scorciatoie, fuori dalle regole, non sono riconosciuti dal villaggio, e la punizione “le cadde addosso”. Il villaggio si riunisce a consiglio con gli animali della savana e la punizione che le viene commisurata è quella di riparare al danno fatto:

 

“Le acque dovevano essere purificate versando una ciotola di acqua di un altro fiume leggendario: il Sanku”

 

Sanku, nella lingua Wolof significa “sparire”. Cumba deve quindi raggiungere questa dimensione, il suo “ego” deve sparire, si deve dissolvere, ed è questo che la può far tornare al villaggio. Nella cultura del villaggio africano non c’è posto per l’egoismo. Il villaggio è una comunità dove ognuno è interdipendente dall’altro. Il rispetto delle regole e delle tradizioni viene prima delle aspirazioni del singolo. E’ questo il messaggio che Cumba deve apprendere. Allo stesso tempo, Cumba deve imparare che i cambiamenti per essere riconosciuti dal villaggio devono essere conquistati. Il valore della persona deve essere messo alla prova. I risultati riconosciuti sono ottenuti solo mettendosi in gioco davanti a tutti, affrontando le proprie prove, superando i propri ostacoli.

 

Il viaggio per raggiungere il fiume Sanku è un viaggio pericoloso, nessuno vi ha mai fatto ritorno, come deve essere un viaggio iniziatico. In qualsiasi rito

 

 

 

La leggenda racconta che tutti tentativi fatti per raggiungere il fiume non sono mai stati seguiti da un ritorno grandi cacciatori guerrieri hanno sfidato la strada e nessuno li ha più visti tornare; per gli avventurieri, i suicidi, i frustrati, in cerca di ricchezza diretti verso il fiume si conosce ancora solo la data della partenza. L’arrivo è da sempre rimasto un mistero, il ritorno mai avvenuto. Gli spiriti della foresta, testimoni di quanto accade in questa circostanza tacciono, ed il mistero rimane per generazioni e generazioni.

La povera Cumba doveva affrontare la strada per arrivare al fiume che solo i morti avevano visto fino ad allora. Quando Cumba si informò, si accorse di essere davanti ad un problema molto fastidioso, non per il pericolo che l'aspettava, perché piccola e innocente come era, non ne aveva la minima nozione, ma per il tempo che ci avrebbe impiegato. La piccola non voleva perdersi in realtà la festa tradizionale che il suo popolo dava in onore del loro potente re, che impersonificava gli Dei della acque celesti e quindi della ricchezza e della sopravvivenza. In quella festa Cumba voleva essere ammirata dei maschi della contea come tutte le sue coetanee. Durante la cerimonia, le famiglie cercavano di progettare matrimoni tra ragazzi e ragazze e il potente re benediceva le unioni.

“Il viaggio, se tutto va bene, potrà durare lune e lune, e la festa è solo tra una settimana”, pensava Cumba. Partì comunque il giorno stabilito, all'alba, sotto la scorta dei suoi più fedeli amici che disperavano di non rivederla più. La accompagnarono per un lungo tratto prima di congedarsi da lei raggiunto il bosco, come gli consentiva la loro natura. Al tramonto Cumba arrivò in un villaggio di solo due case in una delle quali viveva una coppia di anziani piuttosto acciaccati. La coppia la ospitò volentieri e Cumba, da educata ragazzina quale era, si impegnò durante la notte a pulire le stanze e lavargli gli abiti, dopo aver cucinato naturalmente un delizioso pasto con degli ingredienti mai visti prima. Era roba di chissà quale genere e di quale epoca -…degli spiriti-. Cumba non fece alcuna domanda per la stranezza degli indumenti che portavano i due vecchietti e per il cibo consumato; quando arrivò un gruppo di strani esseri a banchettare con loro, fece subito amicizia anche con questi.

La mattina successiva Cumba ebbe appena il tempo per sgranchirsi le ossa che, gli occhi semi aperti e intenzionata a salutare i due anziani, non vide più nessuno, ed anche la casa era sparita. Vide però un enorme stagno mille volte più grande di quello del suo villaggio e un paesaggio di un verde lussureggiante. Vide dei campi di un grano mai visto prima e dentro ai quali degli uomini e delle donne lavoravano con le gambe immerse nell'acqua fino alle ginocchia. Nessuno notò la sua presenza o semplicemente nessuno si occupò di lei. Davanti alle acque salutò timidamente il fiume e chiese:

“Questo è Sanku, il fiume prezioso e leggendario ?”.

“Si”, rispose lo spirito custode delle grandi acque.

“Sono qui per prendervi una ciotola del Vostro prezioso liquido”.

“Perché mi vuoi prelevare nell'acqua, ragazzina ?”.

“Per purificare lo stagno del mio villaggio che ho inquinato egoisticamente”.

“Nessuno ha mai portato queste acque da nessuna parte. Che cosa mi racconti ?”.

Cumba spiegò tutta la sua storia e difese il suo popolo che voleva quelle acque benedette.

“Le acque del tuo villaggio non sono inquinate ragazza, parola del più grosso fiume di tutti tempi. Il tuo popolo, per colpa della tua famiglia e della diabolica scimmia, vuole sacrificarti: da oggi però si salva e benvenuta nel paradiso terrestre”.

Il fiume si difese davanti alle accuse della ragazza di avere la fama di assassino e, a questo scopo, le indicò tutta la gente impegnata nei campi come testimonianza di quanto stava affermando.

“Sono rimasti tutti di propria volontà, sedotti dalla bellezza e della ricchezza del posto e spero che tu faccia altrettanto”.

“No, non posso mi aspettano a casa, devo tornare al più presto possibile”.

“Torna in pace...”, le disse allora lo spirito delle acque, dopo averla autorizzata a riempire la sua ciotola, “... e che gli dei siano con te”.

Prima di partire le offrì tre uova da utilizzare nel viaggio di ritorno. Cumba ringraziò il suo interlocutore invisibile e si avviò verso casa. Quando non vide più il fiume buttò il primo uovo in terra, come le aveva raccomandato di fare lo spirito. E come in un sogno, si lasciò portare dal vento fra alberi, uccelli e animali che la salutavano e la circondavano allegramente. Dopo poco Cumba riconobbe i campi a poca distanza dal suo villaggio: era stranamente arrivata in brevissimo tempo vicino a casa! Senza meravigliarsi per l'inspiegabile durata del suo viaggio di ritorno e per quanto le era successo, ruppe in terra un secondo uovo.

Si trovò allora seduta su un trono sostenuto da persone che le sorridevano. Quando girò la testa per accertarsi del rumore infernale che proveniva da dietro di sé, vide un gruppo consistente di uomini, donne, bambini tutti a cavallo, e preceduti da bestiame; il tutto scortato da guerrieri splendidamente vestiti con uniformi sfarzose. Da un altro lato invece vi erano i cosiddetti animali selvatici, dall'elefante alla iena, dal leone alla pantera, dal rinoceronte alla giraffa, tutti in una gioiosa e pacifica compagnia. Era la prima volta che tutti gli esseri del nostro pianeta presenziavano allo stesso evento in perfetta armonia.

All'interno del villaggio nel cuore della festa Cumba decise di schiacciare il terzo uovo. A questo punto uscirono dal nulla dei mostri terrificanti e così spaventosi che fecero fuggire tutti, compreso il re e le sue guardie. I soldati di Cumba e gli animali che l'accompagnavano annientarono i mostri in una dimostrazione di forza senza precedenti e inequivocabilmente si stabilì che Cumba era nuova regina. La folla s'inginocchiò davanti a lei, la sua famiglia fece lo stesso e altrettanto fece quella del re, chiedendole perdono e protezione.

Dopo aver consegnato l'acqua ai responsabili del villaggio, Cumba fece il giro della festa e si scelse il suo uomo. Era l'ultimo giorno. La folla si impegnò da quell'istante a costruire un palazzo reale dentro il quale gli animali selvatici avrebbero avuto un posto privilegiato. La folla si congedò alla sera tardi e si sciolse lungo i sentieri che portano nei vari villaggi del regno.

I presenti portarono con sé la fantastica storia di Cumba l'orfana, da raccontare alle generazioni future, che a loro volta la racconteranno ai loro figli e i figli dei loro figli, così per tutto il tempo passato e il tempo a venire sarà tramandata dalle generazioni di “Djeri” e di “Walo”[10], dove aveva avuto luogo la leggenda dell'orfana Cumba.

 

 

APPENDICE 1

Storia di Walo (Oualo)[11]

Il reame di Walo è segnato in questa cartina del 1707 come R. d’Oualle, nel nord del paese[12]

Il reame di Waalo (Oualo), fu fondato nel 1287 in africa occidentale, al sud del fiume Senegal, attorno all’odierna città senegalese di Saint-Luis, in un territorio che è diviso oggi tra Senegal e Mauritania. Al nord confinava con gli emirati moreschi dell’epoca, all’est si estendeva l’impero Jolof (o Wolof) che ha prosperato dal 1350 circa al 1890, quando fù annesso all’impero coloniale francese. A sud, nel 1549 si costituisce il reame indipendente di Cayor, che si stacca dall’impero Jolof e rimarrà indipendente sino al 1879. Il fondatore del reame di Waalo, fu una figura leggendaria, NDiadiane Ndiaye e fu dopo la sua morte che l’impero Jolof, costrinse il reame di Waalo al vassallaggio.

Waalo ha avuto un complicato sistema politico e sociale che continua ad influenzare la cultura Wolof nel Senegal odierno. Si caratterizzava per una rigida e formale divisione della società in caste. Il reame era indirettamente ereditario, governato in via matrilineare, da tre diverse famiglie: i Logar, i Tedyek e gli Joos, eventi differenti origini etniche. La storia di Waalo, è quindi caratterizzata da costanti lotte e faide interne tre le tre diverse famiglie per la successione al trono, per divenire “Brak” titolo riservato al re. Il Brak, regnava secondo un tipo di legislatura chiamata “Seb Ak Baor”, sopra ad una complicata gerarchia di ufficiali e dignitari di corte. Le donne hanno avuto una forte influenza, potendo accedere ad alte posizioni sociali ed influenzando così, la storia politica e militare del regno. Come nel vicino impero Jolof, la regina madre, era a capo di tutte le donne del regno ed aveva moltissima influenza sulla sua conduzione. Alla regina appartenevano direttamente numerosi villaggi, che pagavano tributi a lei direttamente. Nel reame di Waalo, la regina poteva aspirare anche al ruolo di “Bur”, equivalente femminile del Brak, e regnare quindi direttamente sul trono, come fece la regina Ndete Yalla, a metà del 19° secolo[13]. Da rilevare che il sistema legislativo prevedeva l’esistenza di dignitari donne, con il compito di giudicare questioni che riguardavano altre donne. La storia del regno di Waalo si conclude nel 1855 con la conquista da parte dell’esercito francese, che partì così con la sua compagna di annessione dei territori dell’Africa Occidentale. In questa epoca il reame contava dai 16.000 ai 20.000 abitanti.

 

 

APPENDICE 2

Proponiamo integralmente un interessante articolo dell’artista del Cameroun Karin Alassane, sulla figura degli animali nelle favole africane, e sul ruolo delle stesso nella società dell’Africa nera in generale.

Carattere degli animali nelle fiabe di Karim Alassane[14]

Il camaleonte è di solito saggio e cauto, ma la sua solitudine gli fa a volta commettere delle imprudenze. La iena è furba, timida e cupida; la lepre, furba e maliziosa, rimedia agli errori al momento giusto; il toro è innocente e stupido. Il caimano è idiota, goloso e ingordo; l’elefante è il principe onorifico. La pantera, agile, ipocrita e con la pelle macchiata, è disturbata come il suo corpo. La cerva è intelligente e sa tutto, ma la sua sapienza è troppo prematura. Il cane, discreto, ha molto imparato ma porta solo ciò che gli piace. 

E gli altri, la cui enumerazione non finirebbe mai. O possiamo ancora citarne alcuni: lo sciacallo, il topo, la termite, il rospo, l’ape, il cavallo, il facocero, lo sghimbezio, il pappagallo. Ciascuno è disegnato da alcuni tratti vivi e penetranti che rivelano l’anima, aldilà dell’aspetto estetico. Poiché gli animali vivono, sentono, pensano, parlano come gli uomini, pur conservando sempre la loro natura di animali.

Non c’è confine in questo mondo meraviglioso. Tutti questi animali rappresentano la vita degli uomini. È vita, colori, odori, grida, sorrisi, lacrime, cioè l’Africa prodiga, piena di succo e di senso. E l’arte in tutto ciò non è assente.

Il primo merito del narratore nero africano come di ogni vero artista è legarsi al reale, di ridare la vita. Egli dipinge gli uomini, gli animali e la natura dell’Africa così come viene percepita. E non soltanto gli uomini e gli animali, ma anche la boscaglia e la savana  con i loro villaggi immensi e pieni della sabbia dei fiumi che li attraversano. Anche gli  animali sono della savana o della foresta, indipendentemente dal fatto che il narratore sia sudanese o bantu; attraverso tutto ciò il narratore rivela il suo essere, le sue realtà interne che sono le sue miserie e i suoi sogni, i suoi lavori e le sue preoccupazioni, le sue passioni; del posto che occupa il cibo in questi villaggi minacciati periodicamente dalla siccità e la fame. Niente per il narratore africano è nuovo in Africa Nera. Egli integra alle realtà tradizionali le realtà d’oggi.

In Africa Nera ogni fiaba, ogni racconto è l’espressione immaginaria di una verità morale volta alla conoscenza del mondo e lezione di vita sociale; la spiegazione morale di un fatto naturale, la spiegazione di un costume: quasi sempre il simbolo è “doppio”. Mentre il racconto si immerge nelle forze cosmiche alla maniera dei miti, la fiaba è  spesso l’illustrazione di un principio morale pratico, di un proverbio. In questo lungo viaggio potremmo scoprire come la cupidigia e la cattiva fede siano punite e l’amore del denaro generi ingratitudine. E se il favolista si serve delle maschere dei fatti irreali  è per farci perseguire con fermezza una verità psicologica umana. 

Che siano fiabe o racconti, il narratore nero africano traduce, attraverso la legge dell’interazione delle forze vitali, la dialettica della vita, che è quella dell’universo. All’anarchia e alla morte si oppone l’ordine della vita. Sono i viventi, gli esistenti, posti al centro del mondo, a essere i protagonisti di questa vasta commedia umana. A volte si levano contro la stupidità e l’ingiustizia dei potenti, a volte si sottomettono o si fanno complici attraverso la vigliaccheria. Ma la pace, la verità finiscono sempre col vincere. La pace sotto l’effetto delle sue virtù, tipicamente dei neri, che sono la pietà, il buon senso, la lealtà, la generosità, la pazienza, il coraggio.

Il lettore potrebbe pensare che ci siamo allontanati dall’arte. Ma si deve ricordare che l’arte in Africa Nera non si separa dalla conoscenza né dalla morale. In altri termini, in Africa Nera tutto è arte, tutto è morale. E il narratore non sarebbe artista se non sapesse mescolare il reale e l’immaginario, se non fosse dotato del dono della fabulazione; immergendosi aldilà del reale, ci fornisce immagini e ritmi che danno alla vita il suo colore e il suo senso. 

Il racconto e soprattutto la fiaba si presentano come i drammi. E il narratore gioca i suoi personaggi con sicurezza di gesti e di intonazione raramente sbagliato. A volte la voce ironica, a volte la grossa voce come un elefante, canta le sue poesie che danno il ritmo dell’opera: a volte le balla. Si tratta di veri spettacoli che possono essere teatrali,  in scene e a volte in atti come le opere teatrali. Ciò che è difficile a un non africano è gustare pienamente l’arte dei narratori nel dialoghi e nei canti. L’umorismo che si trova nelle opere nere africane non è un tratto di spirito, ma semplicemente una esposizione dei fatti. 

Più ancora, ammirevoli sono i dialoghi, animati e nutriti da grida e da pianti, che si mescolano nel gesto e nelle tonalità del narratore, dialoghi che non finiscono, che sembrano girare in cerchi concentrici, con le ripetizioni… Dialoghi ritmici. Perché il ritmo domina e anima tutti le arti nere africane: anche il racconto, la fiaba sono ritmici. 

In tempi antichi, è vero, la prosa differiva dalla poesia. Il racconto era ritmico. di un ritmo solamente un po’ più libero di quello del poema. Era richiamato con un tono monotono, su una nota un po’ più alta rispetto a quella della conversazione. Ritmo dei dialoghi, di cui abbiamo parlato prima, ritmi delle opere-racconti o fiabe, divise in scene, che richiamano il ritorno periodico di un canto-poesia. 

Mentre in Europa il ritmo è basato sulle ripetizioni e i parallelismi - cioè provoca un rallentamento e un movimento statico -, in Africa Nera ripetizioni e parallelismi  provocano una  progressione drammatica. Tenendo in considerazione che non si tratta qui di una semplice ripetizione.

Spesso in Africa Nera, così come le cose sono a volte positive a volte negative, il ritmo provoca anche effetti comici, e ciò dipende del contesto; tale è l’arte di un narratore nero africano come discepolo della tradizione africana al servizio della cultura in genere… dalla realtà coloniale a quella del futuro: il bianco colonizzatore, il nero schiavo, la libertà, le guerre, la scuola, l’ambulanza, la macchina, il totem, il missionario, la modernità, il libanese, l’usura, la corruzione…

Non esistono confini in Africa Nera, neppure tra la vita e la morte. Il reale non acquista il suo spessore, non diventa verità che rompe angoli rigidi, allargandosi fino alle dimensioni del surreale. Ciò significa che il surrealismo nero-africano è un naturalismo cosmologico; per i neri africani i viventi, gli esistenti sono al centro del mondo: ciò implica il singolo posto che occupa la persona umana, non i singoli esseri. L’uomo vive perché dotato della libertà; è capace di rafforzare la propria  forza vitale o tramite la negligenza di sforzarla, ma può farlo solo facendo agire le altre forze o lasciando che esse agiscano su di lui.

 

BIBLIOGRAFIA

 

BIBLIOGRAFIA

 

&  BETTELHEIM Bruno, Il mondo incantato – Uso, importanza e significati psicoanalitici delle fiabe, Milano. Feltrinelli, 2005

&  CHEVALIER Jean – GHEERBRANT Alain, Dizionario dei simboli, Milano. BUR, 2005

&  GADJI Mbacke, Numbelan – il regno degli animali, Milano. Edizioni dell’arco, 1996 



[1] L’etnia Wolof, è rappresentata dal 40% circa della popolazione del Senegal, diffusa anche in Gambia e Mauritania. Rappresentano la maggioranza della popolazione nel nord del Senegal, attorno alla regione de Saint-Luis, dove si sviluppò il reame di Walo e da dove proviene probabilmente questa favola. Di etnia wolof è per esempio il cantante e musicista senegalese Youssou N’Dour (tratto da http://en.wikipedia.org/wiki/Wolof_people - 18-05-2008)

[2] M. GADJI, Numbelan – il regno degli animali, Milano. Edizioni dell’arco. 1996

[3] Tradotto in italiano significa “sparire”

[4] Regione situata nel Nord del Senegal, nei pressi della città di Saint-Luis

[5] B. BETTELHEIM, Il mondo incantato – Uso, importanza e significati psicoanalitici delle fiabe, Milano. Feltrinelli, 2005

[6] Ibidem, 12

[7] CHEVALIER Jean – GHEERBRANT Alain, Dizionario dei simboli – Vol. 1, Milano. BUR, 2005. 481

 

[8] Ibidem. 545

[9] CHEVALIER Jean – GHEERBRANT Alain, Dizionario dei simboli – Vol. 2, Milano. BUR, 2005. 343

[10] Regione situata nel Nord del Senegal, nei pressi della città di Saint-Luis