Cos’è il Training Autogeno

 

 

Quando Schultz parlò a Freud del suo metodo,

il maestro della psicoanalisi gli disse

"Lei non penserà di guarire con la sua tecnica?"

E Schultz rispose:

"Certamente no; ritengo solo di aiutare ad evolvere,

così come fa il giardiniere quando scosta pietre ed arbusti

perché le piante possano meglio crescere". 

 

 

 

Il Training Autogeno (TA) è una tecnica fondata da Johannes Heinrich SCHULTZ (1884 – 1970), medico psichiatra tedesco nato a Göttingen, e messa a punto dallo stesso, tra il 1908 e il 1912.

Hannes LINDEMANN, un allievo di Schultz, definisce il TA un “metodo scientifico, finalizzato a indurre una leggera forma d’autoipnosi grazie alla quale ci si propone di potenziare l’immaginazione. Visualizzando la pesantezza, per esempio, s’induce una sensazione alla quale fa seguito, dopo poco, una condizione di oggettiva pesantezza, data dallo stato di rilassamento muscolare. Il passaggio dallo psichico al somatico è possibile soltanto in quanto mente e corpo costituiscono un’unità[1].

Il TA è stato dunque definito con due termini specifici: “training” e “autogeno”.

Training, inteso come allenamento, sottolinea la costanza richiesta nell’applicazione del metodo. Per poter produrre dei risultati, il TA deve essere praticato con regolarità. A tale proposito scrive Lindemann: “se non si esercita con regolarità non si ottiene nessun risultato, sottolinea Schultz. Solo l’esercizio è un buon maestro[2].

Autogeno sottolinea la contrapposizione con eterogeno ed ha contraddistinto la nascita di questa tecnica. Il TA è una tecnica autoindotta e non subita passivamente da un somministratore esterno (quindi non eteroindotta). Heinrich WALLNÖFER scrive in merito:

“ciò che è propriamente autogeno consiste nel fatto che il soggetto fin dal primo momento si esercita da solo, in modo che egli non venga assolutamente influenzato dall’esterno, e la personalità complessiva riconosca l’allenamento come prestazione esclusivamente propria.”[3]

Come scritto da Schultz, “non può essere mai sottolineato abbastanza che il vero Training Autogeno è una faccenda del tutto individuale, e che ogni individuo deve seguire la sua propria via, quella destinatagli dalla sua natura[4].

Il TA è quindi una tecnica che viene proposta da un trainer specializzato ma portata avanti in autonomia, che mira ad una distensione passiva, ad una immersione nella propria interiorità, lasciando che le cose semplicemente accadano. Schultz parlava di una “autodistensione concentrativa”, che viene spiegata da Wallnöfer come una “disposizione passiva a lasciare che in sé accada ciò che vuole accadere[5]. Dal punto di vista filosofico, per l’uomo di cultura occidentale, questo è un concetto difficile da capire. Vivendo immersi in una cultura che elogia il fare, l’essere attivi, la competitività volta al raggiungimento dei propri obbiettivi, è difficile comprendere come si possa fare qualcosa senza fare nulla, lasciando semplicemente che le cose accadano. Eppure questo è un concetto che si trova diffusamente nelle culture orientali, in cui viene proposto da millenni e che rappresenta uno dei punti principali della filosofia (divenuta poi anche religione) Taoista.

 

Nell’epoca in cui il principe Siddhārtha, si risvegliava nella condizione di Buddha in India, una figura leggendaria, Lao-Tze, creava le basi per lo sviluppo del Taoismo in Cina. L’esistenza storica di Lao-Tze è molto discussa e, chi ne riconosce l’esistenza storica, la colloca tra il VI e il IV secolo a.C. A lui viene attribuito uno dei testi principali del taoismo, il Tao-Te-Ching, in cui, con un linguaggio esoterico, vengono gettate le basi del concetto di Tao e della successiva filosofia/religione taoista. Ma cos’è il Tao ? E’ l’origine di tutte le cose, è il creatore primigenio, è il tutto e il nulla. Il Tao sfugge ad ogni definizione perché ogni definizione lo delimita e il Tao è illimitato, il Tao non può essere nominato perché ogni nome lo circoscrive e il Tao è il tutto. Scrive Lao-Tze:

 

“Il Tao che può essere detto non è l'eterno Tao,
il nome che può essere nominato non è l'eterno nome.”[6]

 

Secondo la concezione Taoista, noi tutti siamo immersi nel Tao. Tutto è stato creato in un incessante mutevole equilibrio. Ogni cosa si trasforma nel suo contrario che non è che la faccia di se stesso. Il simbolo del Tao rappresenta questo incessante mutare della cose nel loro contrario, ogni cosa contiene il suo opposto perché la divisione degli opposti è solo un’illusione della mente dell’uomo. In realtà l’equilibrio del mondo poggia sul fluire delle cose, che mostrano diversi aspetti pur conservando sempre la stessa natura. Ma quale è allora la condizione dell’uomo in questo fluire delle cose ? Secondo il Taoismo, l’essere umano si dovrebbe affidare a questa armonia universale, l’uomo non è che una parte del tutto, immerso in un equilibrio di cui egli stesso fa parte. Uno dei principi base del Taoismo è il wu-wei, la legge dell’agire senza agire. Scrive Lao-tze: “colui che sa, non osi agire”[7] perché:

 

Il mondo è un vaso sovrannaturale che non si può governare: chi governa lo corrompe, chi dirige lo svia. Perciò il Santo non fa niente, e così non rovina niente; egli non trattiene niente, e così non perde niente[8].

 

Esiste un equilibrio in tutte le cose e la cosa più saggia che può fare l’uomo è affidarsi a questo equilibrio con compassione, semplicità e pazienza, le tre qualità chiamate “i tre gioielli del Tao”. Farsi vuoti per poter essere riempiti, come una tazza, la cui funzione è il vuoto pronto a ricevere e non la ceramica che la compone.

 

E’ in questi concetti che si può trovare la predisposizione d’animo di chi si accinge a praticare il TA. Predisporsi attivamente (costanza nel training) affinché i processi avvengano spontaneamente, senza essere forzati. Lasciando che le cose accadano. Ma cosa deve accadere ? Secondo Schultz, il TA è una tecnica che si inserisce in un processo di crescita individuale, in cui l’individuo cerca di esprimere quello che è, la propria individualità. Scrive l’autore: “ritengo solo di aiutare ad evolvere, così come fa il giardiniere quando scosta pietre ed arbusti perché le piante possano meglio crescere”[9]

Accettare questa visione dell’essere umano, comporta la visione di un “progetto di vita”, connaturato ad ognuno di noi, una tendenza evolutiva, che, partendo dal seme che già in sé racchiude il progetto di pianta, spinge il progetto a farsi germoglio, arbusto e pianta matura capace di fiorire e di dare frutti. Un progetto di vita che porta ad essere se stessi.

Ma come è possibile non essere se stessi ? Come posso io non essere io ? già la domanda sembra essere un paradosso eppure gli scaffali delle librerie sono pieni di testi che ci ricordano che io potrei anche non essere pienamente io. Essere me stesso presuppone la possibilità che la vita mi abbia portato ad essere qualcosa di diverso da quello che la mia propria natura prevede.

Su questo punto la psicologia non ha sempre avuto una opinione univoca. La corrente behaviorista, italianizzato come comportamentismo, ha teorizzato che l’uomo nasca come una pagina bianca sulla quale le esperienze della vita scrivono il tipo di persona che si svilupperà negli anni. JOHN B. WATSON (1878 - 1958) illustre esponente di questo movimento, scriveva:

 

“Datemi una dozzina di bambini sani, ben formati, inseriti in un ambiente come intendo io per tirarli su, e vi garantisco che, dopo averlo preso a caso, farò di ognuno di loro uno specialista a piacere un dottore, un avvocato, un artista, un capitano di industria, oppure persino un mendicante o un ladro a prescindere dal suo talento, dalla sua vocazione, dalla sua tradizione di famiglia e dalle sue attitudini, inclinazioni, tendenze, capacità, ecc... “[10]

 

E’ evidente che in questa visione d’uomo, poco o nullo è lo spazio che viene lasciato all’autorealizzazione. Non può esserci autorealizzazione se immaginiamo che i talenti o le vocazioni personali sono talmente fragili da essere soverchiate e soffocate dalle preponderanti pressioni dell’ambiente.

 

All’opposto di questa visione si trova, non unica, l’approccio della psicologia umanistico-esistenziale, la quale prevede che ogni persona abbia un proprio progetto di vita da sviluppare. Secondo questa visione dell’essere umano, il senso della propria esistenza starebbe proprio nel perseguire il proprio progetto di vita. Lo stesso orientamento è assunto anche dalla Psicologia Analitica di C. G. Jung. Secondo Jung, l’uomo già al concepimento è depositario di una propria individualità, di un proprio Sé unico e irripetibile che chiede incessantemente di venire espresso nella vita, allo stesso modo in cui una bolla di ossigeno immersa in acqua tende naturalmente a salire verso l’alto.

 

Quindi essere se stessi e sviluppare le proprie potenzialità, equivale al rimanere se stessi mentre si cambia. Se sono le mie potenzialità che sto esprimendo, se il mio essere si sta sviluppando, attraverso le esperienze fatte nel mondo, rimango sempre io, pur nel mutamento, naturalmente presente in ogni processo evolutivo.

 

Un uovo di farfalla viene deposto sotto una foglia. Dallo schiudersi di questo uovo, un piccolo bruco inizierà la sua avventura nel mondo. Andrà incontro a varie metamorfosi, il suo corpo ingrosserà e cambierà di forma. Alla fine si addormenterà, rinchiuso in una crisalide per risvegliarsi meravigliosa farfalla. Tante fasi diverse, tanti diversi aspetti, che esprimono però lo stesso essere di base. Un naturale mutare nella vita, all’interno di un disegno evolutivo che esprime sempre e unicamente se stesso.

 

Il TA può quindi essere inserito in un movimento più ampio, che racchiude in sé varie proposte, i cui paralleli filosofici si possono riscontrare nell’esistenzialismo europeo, nel taoismo cinese, nell’umanesimo nord-americano. A livello di correnti di pensiero della psicologia, si possono trovare della analogia nella psicosomatica che prende avvio da Georg GRODDECK (1836 – 1934) nell’approccio corporeo della vegetoterapia di Wilhelm REICH (1897 – 1957) e quindi nelle evoluzioni successive di tutte le discipline che vanno sotto il nome generico di “terapie alternative corporee”[11] quali la Bioenergetica di Alexander LOWEN (1910 – 2008), il Rolfing di Ida ROLF (1896 – 1979), il Rebirthing di Leonard ORR (1938 – vivente) e così via. Una moltitudine di tecniche, volte al benessere psicofisico e all’evoluzione dell’individuo, che condividono una concezione di base: esiste una unità indivisibile costituita dallo psico-soma. I piani che noi concettualmente vediamo separati, sono in realtà un’unità in equilibrio dove un qualsiasi aspetto del sistema influenza l’intero sistema. L’approccio deve essere quindi necessariamente “olistico”, dal greco olos = tutto, dove l’essere umano è visto nella sua interezza di essere con una natura fisico-psichico-spirituale, caratteristiche di uno stesso insieme in equilibrio e interagente all’interno di se stesso e con il mondo esterno. Agendo quindi sul corpo, si influenza l’intero equilibrio del sistema, non solo sul piano fisico ma anche su quello psichico e spirituale.

 

Il TA, all’interno di questa visione di essere umano, ha sviluppato una teoria e un metodo che possono essere identificati nei concetti di “bionomia” e di “autogenia”.

La teoria è rappresentata dal concetto di “bionomia” o “ordine bionomico”, sintetizzabile come l’insieme delle leggi vitali, che regolano la vita. Ogni essere vivente è soggetto a delle leggi che lo stesso, porta inscritte in sé già alla nascita. L’ordine bionomico include il progetto vitale, le leggi che ne regolano l’espressione, le tappe attraverso le quali tale espressione dovrà passare (sviluppo, mantenimento, riproduzione, morte), i vincoli ai quali è soggetta l’espressione di tale progetto, in un mondo la cui fenomenologia è regolata da leggi.[12] La rottura di questo ordine bionomico, sul piano somatopsichico, con scelte di vita abionomiche o antibionomiche, determina squilibri che possono far insorgere dei quadri patologici. L’espressione dei potenziali di ogni essere vivente deve quindi rispettare le leggi ordinatrici del cosmo.

 

Il metodo è rappresentato dal concetto di “autogenia”, termine che indica la capacità dell’organismo di riequilibrarsi da sé, secondo le leggi della bionomia. Il sistema vivente, posto nelle condizoni di poterlo fare, tende spontaneamente a ritrovare l’equilibrio che è stato rotto,

 

Il piano tecnico su cui si sviluppa il TA può infine essere suddiviso in:                          

 

  •   TRAINING AUTOGENO di BASE
  •  MODIFICAZIONE AUTOGENA (Formule Intenzionali e Formule d’Organo Specifiche)
  •   NEUTRALIZZAZIONE AUTOGENA (Abreazione Autogena e Verbalizzazione Autogena)
  • TRAINING AUTOGENO SUPERIORE

 

 

Il TA di base, come teorizzato da Schultz, è un metodo basato su sei esercizi di base (il settimo è stato aggiunto successivamente) che sono autoindotti (dopo un primo training dove gli stessi sono proposti dal trainer). Attraverso questi esercizi, la persona può sperimentare diversi vissuti corporei (la pesantezza, il calore, il battito cardiaco, il respiro, rilassamento dell’addome e degli organi ivi racchiusi, rilassamento della fronte, della testa, della nuca e delle spalle) che sono gli stessi provati dal soggetto sotto ipnosi etero indotta, e che permettono alla persona di sperimentare una “commutazione” che comporta un generale e profondo rilassamento corporeo, un leggero cambiamento del livello di coscienza, con un incremento della capacità di introiezione psichica, la stimolazione all’emersione di vissuti psichici attraverso immagini oniriche e l’evidenziazione di aree di resistenza nella struttura psichica del soggetto.

 

Gli esercizi del TA di base si possono riassumere in:

 

Induzione della calma

  1. Esercizio della pesantezza (apparato muscolare): distensione muscolare
  2. Esercizio del calore (apparato circolatorio): distensione vascolare
  3. Esercizio del cuore: regolarizzazione del battito cardiaco
  4. Esercizio del respiro: regolarizzazione della respirazione
  5. Esercizio del plesso solare: rilassamento viscerale
  6. Esercizio della fronte fresca: leggera vasocostrizione e rilassamento della testa
  7. Esercizio delle spalle-nuca: distensione e decontrazione muscolare

 

Le formule intenzionali (FI) e le formule d’organo specifiche (FOS), che rappresentano le tecniche di modificazione autogena, proposta dal TA, sono delle frasi brevi, costruite su misura, che vengono inserite all’interno degli esercizi di base del TA.

Le FI si indirizzano ad influenzare atteggiamenti, pensieri o comportamenti della persona, mentre le FOS influiscono a livello fisiologico sul funzionamento di organi o sistemi d’organi della persona. Le frasi devono essere “tailor made”, fatte cioè su misura per le esigenza della singola persona, e dovrebbero rispettare delle regole generali quali essere sempre in positivo (evitare la negazione), essere brevi e coincise, usare il linguaggio e le terminologie della persona che le usa. Vanno ripetute per almeno un mese, alla fine del ciclo degli esercizi di base del TA o tra un esercizio e l’altro.

 

 

Bibliografia

 

&  LINDEMANN Hannes, Training Autogeno, Milano. Tecniche Nuove, 2003

&  SCHULTZ Heinrich Johannes, Psicoterapia bionomica, Milano. Masson, 2001

&  WALLNÖFER Heinrich, Sani con il Training Autogeno e la psicoterapia autogena, Roma. Armando Editore, 2008

 

Sitografia

 

:    http://www.studiobaruzzo.it/studiob/studiobaruzzo.php?cpag=40

:    http://it.wikipedia.org/wiki/Terapie_alternative_corporee

:    http://gcesare.provincia.venezia.it/e_ep/e_ep5/training.htm



[1] H. LINDEMANN, Training Autogeno, Milano. Tecniche Nuove, 2003. 3

[2] Ibidem. 53

[3] H. WALLNÖFER, Sani con il Training Autogeno e la psicoterapia autogena, Roma. Armando Editore, 2008. 14

[4] H. WALLNÖFER, Sani con il Training Autogeno e la psicoterapia autogena, Roma. Armando Editore, 2008. 25

[5] Ibidem. 17

[6] DUYVENDAK J.J.L. (a cura di), Tao-Tê-Ching, Milano. Fabbri Editore, 1997. 21

[7] Ibidem. 27

[8] Ibidem. 77

[10] J. B. WATSON, Behaviorism, New York. Norton & Company Inc. Publishers, 1925. 104

[12] H. J. SCHULTZ, Psicoterapia bionomica, Milano. Masson, 2001. 49